giovedì 9 dicembre 2010

Non voglio che Clara...




Non voglio che Clara ascolti questo disco. Questo potrebbe essere il suo testamento. Ambrogio è uno che ne sa di vita, dopo aver passato anni e anni a frantumarsi le palle al fianco della sua padrona che viveva solo di praline al cioccolato, il bravo maggiordomo, prima l'ha uccisa annegandola nella Nutella e poi si è dedicato alla passione dei cani. Amante sfegatato della musica, ha sempre cercato di trasmettere questa passione ai suoi cocker da tiro, che fino a qualche giorno fa scorrazzavano allegramente nel suo giardino di villa Rocher. Da ieri non più. Ambrogio ha avuto la brutta idea di mettere a palla il nuovo disco dei Non voglio che Clara, intitolato appunto Dei cani, e i cocker hanno cercato ogni oggetto contundente utile per togliersi la vita. Va bene essere il migliore amico dell'uomo ma questo è troppo. Uno di questi ha cominciato a rimpiangere il giorno che era stato abbandonato sulla A4. Fatto sta che il cd della band veneta non ha avuto un gran successo all'interno del mondo canino. Ambrogio ora si ritrova con 6 cocker suicidatisi in massa, causa le note tristi dell'album della band. Ha fatto causa giustamente al cantante e compositore, che si è difeso dicendo che le canzoni se ascoltate al contrario sono delle ballate stile Gloria Gaynor negli anni '80. Il maggiordomo preso dalla disperazione ha caricato il fucile di Ferrero Rocher e si è sparato un colpo alla cacao meravigliao alla gola. Cioccolato e praline gli hanno trafitto la trachea e ora è in prognosi riservata. I medici sono scettici, non vogliono sbilanciarsi, ma da fonti ufficiali si apprende che l'Ambrogio non ce la farà. L'ultima frase detta dal mitico maggiordomo sembra proprio essere "Non voglio che Clara", alludendo al fatto che almeno sua sorella, Clara appunto, non si avvicini al cd della band veneta.

sabato 4 dicembre 2010

Il Watson per nulla elementare




Forse ha rubato due corde vocali a James Blunt e tre al cantante Chris Martin dei Coldplay. probabilmente un suo antico avo era il braccio destro "elementare" del mitico Holmes, Sherlock Holmes. Fatto sta, che questo giovin donzello, classe '79, nato nella calda California e poi trasferitosi nel gelido Quebec, è cresciuto a suon di salmone affumicato e uova al tegamino. E proprio i tegamini vengono utilizzati per creare suoni dal suo percussionista. Animale schivo, voce acuta ma flebile, quasi stesse per morire da un momento all'altro, il Watson canadese sforna dolci canzoni che è bene appendere ai fili dello stenditoio, per farle asciugare della loro pregna malinconia rivoluzionaria. Ebbene si, perchè il ragazzo suona come un guru tibetano, sferza colpi di arte musicale su ogni angolo dello spartito. Nulla è lasciato al caso. Wooden Arms è un album pacifista, intenso e romantico. Spara sulla vostra coscienza colpi di corteccia d'albero secolare, vi ferma nella vostra frenetica vita da esseri metrò, vi estrania dall'underground che vi porta al lavoro, e vi racconta di un tempo diverso, più umano, più naturale. Dovete pagare la bolletta? Avete il capo che vuole la pratica pronta entro e non oltre due ore? Fottetevene. IPod alla mano, cuffie inserite nelle vostre cavità sonore e lasciate che sia Watson a gestire il percorso della vostra giornata. Arriverete al capolinea, esattamente a 40 km di distanza da ogni pensiero che poco prima vi circondava la mente. Respirate il legno che emana questa musica, come un Harry Potter dei poveri, cercate di passare attraverso i muri, anche se poi vi provocherete un ematoma gigantesco, ritrovandovi sbattuti a terra. Non importa, correte verso l'uscita, verso l'aria, il sole, il cielo. Watson con il suo pianoforte e la sua voce da gnomo falegname, vi conduce verso un nuovo piano di visuale. Ora avete le armi necessarie per trasformare il vostro presente, assaltando il futuro a colpi di tegamini ricolmi di biscrome. Buona fortuna.

venerdì 26 novembre 2010

Zaebos, un viaggio negli inferi degli angeli




Qui gli angeli sono sbronzi, fanno sesso con il diavolo e la sua combriccola e non c'è verso che l'Onnipotente e i suoi seguaci riescano a mettere apposto il bordello creato da John Zorn e i suoi suonatori fidati, ovvero Medesky, Martin e Wood. Anche se per chi non pratica la musica contemporanea jazz, anche se qui il jazz conta quanto Franceschini nel Pd, questo trio di squinternati geniali composisuonatori potrebbe ricordare per il nome che ha, più la linea anti Vitton, il che sarebbe anche ora, perché hanno decisamente fracassato le palle queste LV sparpagliate su tutte le borse delle ganze donne che si sparano le pose plastiche agli aperitivi Buddhabareschi. Tornando al trio Medesky-Martin-Wood, se volete dimenticare per un momento la munnezza di Napoli, il Bunga bunga del nostro Premier, e lo sfacelo del nostro paese ormai alla frutta, inserite questo disco nel lettore cd, mettetevi le cuffie così la vostra vicina vecchia suocera non vi frantumerà le palle per il volume alto e fatevi trasportare dai suoni criptici yiddish composti per loro dalla mente malata del genio Zorn. Entrerete nel tunnel della perversione. Assaporerete il sangue dell'anticristo mangiando l'ostia sacra, scaverete nel vostro subconscio cercando quelle radici che vi legano a quei suoni che scivolano nei vostri timpani. Perché questa musica ha la matrice orientale, è sudata, fradicia di credenze e religioni che ci hanno passeggiato sopra. Zorn l'ha lavata, l'ha portata nel nostro mondo come una sacra sindone indemoniata e per questo fa parte della nostra storia, della nostra vita. L'hammond e il pianoforte di Medesky, il basso di Wood e la batteria di Martin si impossesseranno nel vostro corpo come angeli Zaebos, custodi della biblioteca dell'inferno.
Poi saranno cazzi vostri tornare alla realtà a musica finita con l'assordante televisione di vostra suocera che con la voce della Barbara D'urso vi sfonderà le pareti di casa.

martedì 23 novembre 2010

La giungla di Nneka




Antilopi e giaguari smettono di giocare a nascondino quando sentono la sua voce. Come una dea tribale, affonda la sua chioma di ricci ribelli nella terra africana e canta con la stessa potenza del vento nell'oceano. Nneka oltre ad essere di una bellezza devastante ha nel cuore la storia del continente di Fela Kuti e nelle vene le stelle a strisce del continente americano. Nata in Nigeria e poi sbattuta come una trottola ad Amburgo, la ricciola nera come una Mafalda incazzata ha cominciato a sviluppare ritmi hippoppiani mescolati al funky settantino. Concrete Jungle è un puzzle di 3000 pezzi che neanche la Ravenburger riuscirebbe a ricreare. In questo album c'è la polvere e il sudore di un continente spremuto dai padroni della terra, che da secoli sfruttano con l'ipocrisia sparata sui sorrisi Colgate il territorio come fosse loro. In questo disco trovate l'essenza e la dignità di un intero continente che alla faccia del nostro capitalismo sfrenato, riesce con l'umanità del ballo mescolato al dolore salvifico dei milioni di schiavi sottopagati dalle multinazionali, a farvi riflettere quanto sia idiota il nostro sistema sociale. Nneka come un'amazzone raccoglie il canto di quanti non hanno voce per urlare al mondo che l'Africa è il cuore pulsante del pianeta. Di certo non è l'abum che troverete sugli scaffali della sede principale della Lega Nord e sicuramente il Trota e suo padre preferisono alla giovane cantante Nneka un bel disco celtico della bassa padania, magari scritto a due mani e mezzo cervello da Borghezio e Gentilini. Ovviamente non è nemmeno l'album preferito da Maroni, troppo intento non solo a buttare fuori ogni forma estranea dal nostro paese, ma deciso a lottare contro la 'ndrangheta del Sud, anche perché quella del Nord è mafia padana, e Maroni sostiene che la mafia senza accento del Sud non può definirsi tale, capito mi hai? Nneka non conosce le nostre tristezze legaliste e continua, per nostra fortuna, a innalzare canti di rabbia pacifista.

sabato 20 novembre 2010

Finalmente la Banda Olifante




Come fanno ad entrare in una 500 una Banda di Olifanti? Semplice, i fiati davanti e le percussioni dietro. Questi ragazzi sono una Banda organizzata. Tranquilli, non sparano a nessuno ma vi sradicano i piedi da terra, vi frullano nel mix della loro musica balcanicapopolaritalicaromanticfunky. C'avete capito qualcosa? Provo a spiegarmi con parole semplici, onorando l'italiano come Luca Giurato quando non parla. Allora, la Banda Olifante è ciò che vorreste avere al vostro matrimonio o al funerale di vostra suocera. Sempre di festa si tratta no? A colpi di proboscide vi staneranno dal letto, ancora dormienti e in ritardo per la funzione, lanciandovi come pupazzi fabbricati in Cina sui sedili posteriori della mitica 500, quella vecchia, non quella dell'ad Fiat col golfino che oggi brinda al successo della nuova. Ancora traballanti, infiocchettati come una caramella Condorelli, arriverete dopo la sposa e prima del funerale. Indecisi sul da farsi la Banda organizzata Olifante comincerà a suonare una melodia funebre ma non troppo, a ritmo di sette ottavi. Gli ottoni tirano spallate alle percussioni, che a loro volta accidentalmente sbattono contro di voi , che a vostra volta come funamboli in equilibrio precario, col mutuo al collo, raggiungete la dama bianca e annoiata all'altare. Promettete la solenne fiducia nell'eternità di un amore senza fine domandandovi come mai stiate baciando il bassotubista e non la vostra futura moglie. Bene e anche questa è fatta, ora tutti alla trattoria da Gino con la Banda Olifante che lancia nell'aria ritmi tzigani e giostre di note appese a quell'elefante che vi aspetta fuori dalla chiesa, regalo di nozze di questi scalmanati musicisti.

giovedì 18 novembre 2010

La gioiosa malinconia di Sibylle Baier




Se cercate musica per pogare non avvicinatevi a questo disco, potreste trovarvi stramazzati in mezzo al corridoio di casa, presi da una soporifera cantilena. Idem se volete fare colpo sulla ragazza che ama le varie amorosoferreri di turno, meglio vi procuriate un cd della giovane Noemi, e mentre lei spalanca gli occhi alla vista del vostro dono altamente culturale, provate anche a farle spalancare le gambe. Si sa mai, che intenta a leggere i complicati e difficili testi della cantautrice, alla fine ve la dia per 20,90 euro spesi alla Fnac di turno. Se invece cercate qualcosa di malinconico al punto giusto, cogliendo l'occasione per fare riunione condominiale con tutti i tristi della terra, beh Sibylle Baier fa al caso vostro. Questa tedesca ha registrato le canzoni di Colour Green, uscito nel 2006, agli inizi del 1970. Quando si dice prendersela comoda. Come se io adesso scrivessi un romanzo e lo pubblicassi tra quarant'anni. Anzi, mi sa che lo faccio. Fatto sta che queste songs hanno riposato in botti di palissandro, e oggi il loro sapore è leggermente bariccato. Come il vino, si bevono piano piano, facendole riposare prima nel decanter della vostra anima. Calma, non fatevi strani viaggi, non avete di fronte Vashti Bunyan, ma ci andiamo vicini. La bella Baier canta e suona una chitarra classica, manca solo il suono del crepìtio del camino acceso e poi siete pronti per bervi quel whishy che è almeno due mesi che sta a marcire nella vostra credenza. Quindi, senza tanti fronzoli, entrate in soggiorno con la vostra malinconia a braccetto, accendetevi un bel cubano, inserite il cd nel lettore, se avete il vinile siete da Oscar, e adagiatevi come tassi fissi sulla vecchia poltrona della nonna. La neve fuori intanto scioglie i rumori molesti. Buon ascolto nella vostra malinconica gioiosa tristezza.

lunedì 15 novembre 2010

Il Club delle banane di Beck




Come una scimmia del Guadalupe, afferra banane artpopiane e sbalza sul cestello della vostra biancheria con la faccia di colui che ha capito tutto dalla vita. Beck è così. Ragazzetto che si diverte a manipolare e storpiare non solo la propria musica, buttando nel frullatore ogni genere esistente sul suolo terrestre, ma non pago dei cocktail che ha già preparato per i suoi fans, si lancia in operazioni di sabotaggio su canzoni divenute pietre miliari del passato Novecento. Quindi si è inventato un gioco, il Record Club, ovvero invitare a casa gli amici cari e strombazzare come solo dio sa fare, la miscela di note che confluiscono negli spartiti di grandi cantautori e gruppi che hanno fatto la storia del rock. Tranquilli potete benissimo continuare a lavare i piatti senza avere sbalzi sussultori causa assonanze troppo grevi da parte del nostro giovane Beck, che riprendendo il cd simbolo della banana di Warhol dei Velvet Underground, ha combinato su un casino così grande che rimarrete talmente soddisfatti del suo lavoro, che prenderete gli stessi piatti lavati, li lancerete dalla finestra, con grande gioia dei passanti sottostanti e vi spargerete il corpo di Nutella cantando Sunday Mornig. Evitate accuratamente di farvi vedere per strada poi per la settimana successiva, ma so già che non ve ne fregherà un emerito cazzo di questo consiglio, perché per smuovervi dalle casse che continuano a fuoriuscire songs beckivelvetundergroundiane, dovranno venire i pompieri con tutte le forze dell’ordine. Vi ritroveranno in versione banana split, dondolante come Tarzan, senza più voce. Vostra moglie chiederà il divorzio, vi farete un po’ di carcere, ma quello che conta è che possiate portavi in cuffia la nuova versione di Heroin, perché come diceva quel filosofo tedesco, “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” e voi di morale non avete neanche più il ricordo, ma continuate a domandarvi perché il cielo sia cosparso del frutto Warholiano. Beck vi cambierà la vita. Accettate il rischio?

sabato 25 settembre 2010

Il favoloso mondo di Ameliè Les Croyons

Se vi trovaste per il centro di Lione e la nominaste, salterebbero fuori dai tombini clown imbrattati di note, poeti benedetti con bombole spray che ricoprirebbero il vostro bel vestito di parole leggere, quasi silenti. Questo è l’effetto del passaggio di Ameliè Les Croyons all’inizio della sua carriera otto anni fa. Codesta donzella, ovviamente sconosciuta in Italia, è l’emblema della sensualità. Mai portarla alle piramidi d’Egitto, potrebbe risvegliare il faraone e tutti i suoi compagni di scuola. Meglio gustarsela nei teatri francesi, dove spesso canta e balla e attizza uomini sposati che fremono di salire sul palco con lei per un valzer. Ameliè Les Crayons è una stilista delle melodie, veste le proprie canzoni così bene che sembra di essere di fronte a Maria Antonietta della Sofia Coppola. Il suo mondo è fatto di limoni, palloncini colorati, caramelle e clown. Mentre ascoltate il suo ultimo album “Le Porte Plume”, evitate di pensare al bollo dell’auto, al mutuo o a vostra moglie che tra poco tornerà dal lavoro e vi troverà in stato catatonico, con la faccia da ebete,totalmente inebriati dalla favolosa Ameliè. Siate consapevoli degli effetti che fa, inventate scuse, negate sempre anche l’evidenza. Perché anche se effettivamente la bella francese non è mai entrata nella vostra stanza, voi ne siete giustamente innamorati. Fatevene una ragione. Oppure chiedete il divorzio, prendete il primo treno per Lione e domandate ai gestori del bar del centro dove vive la bella Ameliè. Che dire? Buona fortuna.

giovedì 23 settembre 2010

LaMontagne, calzolaio a tempo perso

Se avete scarpe con suole scollate, stivali malconci, ciabatte d’antiquariato a cui tenete più di vostra cugina, non vi resta che portare il tutto in Pennsylvania in via Boh al numero Mah, dal signor Ray LaMontagne. Vi troverete di fronte un barbuto garibaldino, che col suo cognome da rivoluzione francese, se avrà ancora tempo, vi sistemerà anche gli zoccoli di vostra suocera (con buccia di banana incollata sul fondo). Codesto personaggio ora fa il cantautore però, e quindi magari vi ritrovereste ad aver fatto 10000 chilometri per l’anima del cazzo, ma restereste comunque incollati al vetro della sua finestra, se dentro ci fosse il barbuto che suona come un Ray Charles vedente. Vi trovereste in una colonna sonora di Zach Braff (per capirci, Zach è quel simpatico ragazzo attore principale della serie “Scrubs” che, per chi non lo sapesse, ha girato il film “Garden State”), imbambolati dalla sua voce da orso vegetariano e dal suono della sua chitarra che armeggia proprio come un calzare. Il LaMontagne passa da canzoni nutiniane a momenti di catarsi assoluta. Potreste trovarvi sulla scala del garage ad armeggiare il baule della vostra prozia, cullati da dolci momenti di canzoni romantiche e trovarvi poi col culo all’aria presi dallo spavento per colpa dei fiati entrati come la cavalleria delle valchirie senza nessun preavviso. Quindi, consiglio mio, essendo il disco (Gossip in the Grain) molto “yeahhh” appiccicate le vostre chiappe a mò di Virgosol sul vostro divano, fregandovene se vostra madre continua a urlavi dietro “questa casa non è un albergo”, e immaginate il calzolaio suonatore barbuto che vi rassetta a suon di note e melodie la vostra vita, che ha ormai la suola decisamente usurata ma non per questo da buttare.

martedì 21 settembre 2010

Fuori tempo di Murdoch

Date a Beck quello che è di Beck e a Murdoch quello che è di Murdoch. No no, non c’entra un emerito cazzo il magnate delle televisioni americane, qui parliamo di Alexi Murdoch. E voi direte, e chi cazzo è? Ora non so se sia il figlio, cugino, nipote del capo della Fox, ma ringraziamo sua madre e anche il padre per questa volta, di averlo messo al mondo. Di certo se Beck avesse un gemello, quello si chiamerebbe Alexi. Il ragazzotto trentenne, con l’aria falsa trasandata, e per questo ingrifante come una pin-up bettypageiana, ha una voce così calda e sensuale che se facesse lo speaker alla radio, diciamo verso le undici di sera, farebbe scattare grilletti clitoridei a tutto spiano. Il nostro giovin donzello canta come un dio greco, batte la chitarra con la stessa tenacia con la quale le anatre sbattono le ali sorvolando la Manica in periodo di migrazione. Ha la barba incolta per rendere il personaggio più fico, probabilmente ha un nugolo di gnocca al seguito e magari se la fa con uno dei Duran Duran. Fatto sta che le sue ballate molto Beckiane ( diciamolo), sono ben scritte, arrangiate bene quanto il punto croce di mia nonna sulle tende di casa e regalano veramente momenti epici. “Time without consequence”, questo il titolo dell’album,è così bello che vi viene voglia di lasciar bruciare le uova che avete messo sul fuoco. E’ una canzone da brivido dietro l’altra. Se volete fare colpo su una tipa, regalategli questo album e il cuore della vostra desiderata si scioglierà come strutto a contatto con la padella rovente. Se siete femminucce, allora cazzo, cosa aspettate a farvelo regalare? Ricordate però di mettere la guepiere prima di andare all’appuntamento del vostro maschio arrapato. Viva Murdoch (Alexi) precisiamo e viva la bella musica. Ah, dimenticavo, ci sta bene anche del whisky con camino acceso e candele intorno. Ovviamente chiudete accuratamente le finestre, perché se malauguratamente si trova a passare da quelle parti il vero Alexi, la vostra donzella non esiterà ad aprirgli le braccia e non solo, lanciandosi verso la porta di uscita alla velocità di Mennea.


martedì 3 agosto 2010

Bassanese narra Il futuro del mondo



Di sicuro né l’amministratore delegato della Bp, né quello della Nestlè annovereranno tra i loro dischi preferiti “Il futuro del mondo” di Luca Bassanese. Per due ovvie ragioni: la prima perché non ci capirebbero una mazza, visto che la lingua italiana all’estero è considerata quasi pari allo zero, in secondo luogo, anche avessero la padronanza della nostra lingua, a maggior ragione, lancerebbero il cd del giovin menestrello vicentino nel primo mare a portata di mano, giusto per inquinare qualcosina in più. Perché tutta sta tiritera? Perché Bassanese non le manda a dire. Il suo terzo cd, scritto assieme a Stefano Florio e in uscita a settembre, è una denuncia a ritmo di danza popolare, nei confronti di coloro che stanno mandando a puttane questo meraviglioso mondo. Bassanese racconta del “Pesce petrolio”, una nuova forma animale semi viva, che piano piano mangerà tutte le specie, parla del bene comune dell’acqua, che oggi è a rischio visto le idee folli del governo di privatizzarla, e visto anche la simpatica Nestlè che si sta accaparrando tutte le principali aziende della H2O. A ritmo incalzante, il cantautore vicentino racconta di temi come l’amore, senza però citazioni mocciane pallose e lucchetti sparsi, ma evincendone il significato più puro, narra di soldati che fraternizzano, racconta di una politica che parla parla ma se ne fotte alla grande delle persone, e soprattutto alla fine, dà un bel ceffone a tutti quelli che credono che la violenza sulle donne sia ancora un modo per garantire il machismo contemporaneo. Bassanese lo dice chiaro, “Se picchi una donna sei un buffone”, aggiungo io “coglione” perché rende meglio l’idea. Bellissimo album, pieno di musica suonata con l’orchestra popolare, “Il futuro del mondo” , speriamo non abbia la fisionomia di un Berlusconi o di un Putin, ma prenda forma dal volto delle persone che credono nella pace, nella giustizia e nell’uguaglianza. Complimenti Luca, ottimo lavoro. Che meraviglia!

giovedì 29 luglio 2010

il lupo Mannarino


Aò ma te de dove sei?

So de Roma perché?

Eh, perché io me “So M’briacato” de una donna.

Azz, allora so dolori

Ciai ragione, so dolori ma la rivesto de fiori da circo, vedrai che non me lascerà.

Aò, ma te rendi conto de quanto ce stanno a pijà per i fondelli quelli lassù a palazzo?

Non me lo dire. Sto incazzato. “Svegliatevi italiani”, che qui se so magnati anche la trippa del vostro gatto.

Oh, ma te va de annà a bere qualcosa al bar?

Certo, conosco un posto che fa al caso nostro.

Cioè?

Il Bar della Rabbia. Lì puoi bere, urlà, piagne, ridere come quei bimbi che giocano con la spazzatura, vedi li davanti a noi. So belli vero?

Ammazza Alessandro, me piace. Namo?

Namo.

C’ha il Tevere nelle vene, Pratolini è suo fratello. Mannarino è un lupo, un giullare triste dei nostri tempi. Un menestrello che ti schiaffa in faccia la nuda e cruda realtà. Diciamo che non è esattamente un album alla Apicella. Se pensate che sia di sinistra, fate solo bene. Quando siete arrivati a sinistra proseguite verso il circo, lo troverete che gioca con gli zingari alla faccia dei razzisti. Beve come un cammello andaluso il vino della borgata, mangia pane e rivoluzione. Ha l’umorismo del decadente, dentifricio sparso sulla canottiera bianca, un cappello di paglia che ormai non si stacca neanche a calci. Il ragazzotto de Roma col baffetto da sparviero canta con liquorosa rabbia testi poeticamente perfetti. Volete pensare? Volete ridere? Volete ballare? Comprate questo album, lo mettere su almeno dieci volte al giorno. Se invece siete fan di Apicella, beh, toglietevi dai coglioni no?