La crisi, l’Isis, i viaggi che vorrei fare, mia madre e mio padre sempre più vecchi e vecchi e vecchi, il lavoro che non c’è, la linea fottuta della creatività che si annienta nel baratro della quotidianità, le scarpe lasciate in mezzo alla cucina, un sigaro mezzo fumato, il whishy, il family coglioniday, il giorno del giudizio, i soldi che non fanno la felicità ma anche si, dipende, il nam myoho renge kyo e il perché sono qui e ora, Max Richter e Vivaldi in simbiosi sulla pista della filosofia delle parole a chiave di violino. Andiamo a vedere l’ultimo di Scola? Magari. Mangiamo un sushi per brindare alla nuova speranza e la prostituzione che si spalma sull’ipocrisia della gente per bene, Roma cogliona e puttana che raccoglie i frutti del menefreghismo, Giulio Cesare è morto e non c’è un cazzo da fare, i fantasmi che tornano. L’arte, questa parola blasonata di cui tutti si infarciscono la bocca e non solo, i pianeti che si allineano per poi salutarsi nuovamente, i migliori che sempre se ne vanno e i peggiori no, l’economia che spreme la fame a colpi di social network, un sermone del prete cattolico che invita a evangelizzare col teatro la parola di quel povero Cristo che vorrebbe essere solo dimenticato. Un gatto nero parigino, le offerte speciali, il ristorante della domenica, il sorriso perduto di quei bambini siriani, la massificazione della tragedia culto del passatempo sempre più frenetico. Una donna che ti ama e ti chiedi che hai fatto per meritarlo, un salvagente buttato dalla finestra per raccogliere un paracadute, gli sconti al supermercato, l’insalata sempre più cara, l’aspirapolvere intasata, la fretta che si mangia il cuore, la gioia del sole che s’alza e si abbassa, sempre, comunque. Il magnesio che fa bene, la curcuma di Piazza Vittorio e il bangla che ti spappola i coglioni, con rispetto a prescindere. I militari della Chiesa. L’infinito che si traveste in minuti digitali, inducendomi a smadonnare dio per il senso della vita, i cani e i gatti di facebook, i vegani ossessivi come testimoni di geova proclamano la verità, Buddha sempre più grasso e felice e grasso e felice. I controlli contro il terrorismo, la paura della morte, il dolore semplificato a menefreghismo dallo schermo ultrapiatto della televisione. Un cuore che si ferma d’improvviso di notte, scattando l’ultima foto dello Spirito. Il ricordo che s’allunga come una sciarpa fatta a mano, un vecchio barbone che dorme per terra davanti al negozio di letti. L’ingiustizia all’ordine del giorno, lei violentata, lei uccisa, lei agonizzante che supplica un basta in cambio del respiro. La brava gente che s’abbraccia e si bacia e si scopa nell’indifferenza di un’identità sessuale, retaggio culturale del medioevo. La letteratura della spazzatura. Un bacio appartato agli angoli dei desideri. La pioggia senza rimpianti.
Francesco Olivieri
Francesco Olivieri