E’ la danza degli dèi nella grotta di Platone che smanetta con la filosofia. Il ritrovo delle anguane sulle montagne vicentine, che se la raccontano, mentre ridono dei folletti sparsi per il bosco. La Laquidara ha sfornato questo disco con la stessa passione con la quale i magistrati cercano di ingabbiare il nostro Premier. Quando canta ha l’acqua del mare nelle vene, il cielo stellato nell’ugola. La poesia si fonde come cioccolato sullo spartito. Il tutto in dialetto vicentino, terra che l’ha ospitata dopo essere nata ai piedi dell’Etna. Volete recuperare le vostre origini? Volete attraversare il guado delle differenze con la musica? Avete la necessità di capire perché voi un’anguana non l’avete mai vista? Semplice. Non l’avete ascoltata. Ora ne avete la possibilità. Ora potete andare a prelevare pioggia alle nuvole digitando il codice della vostra coscienza, potete tranquillamente adagiarvi in un prato e mangiare caramelle da mattina a sera. L’anguana entra come un felino nel corpo, vi ammalia, vi seduce e abbandona. Bella e sensuale, recupera dalla terra le radici di un dialetto forte, pigmentato di evoluzioni. Dentro ci trovate le battaglie degli austriaci, dei francesi e degli spagnoli. Un frullato di parole che hanno portato questa gente a parlare quello che oggi viene definitivo vicentino. Non è certo l’inno alla superiorità padana, Bossi berrebbe l’intero Po se così fosse. E’ invece un testamento di mitologico amore espresso attraverso le differenze e gli incroci che ci rendono diversi ma pur sempre simili. Questo disco, “Il canto dell’Anguana” appunto, vuole farvi assaporare gli incontri avvenuti nelle notti dei tempi, al cospetto dell’Olimpo. Se non capite, non importa. L’anguana riuscirà comunque a farsi comprendere attraverso le note, i baci sospesi, le carezze rarefatte. Sta a voi raccogliere l’invito, aprire il cuore e spalmarci del burro di salsedine e roccia.